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Il veglione di San Silvestro... col dubbio che non ci sia niente da festeggiare

31-12-2022 05:45

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Il veglione di San Silvestro... col dubbio che non ci sia niente da festeggiare

Bisogna impegnarsi duramente per far si che l'anno nuovo non sia peggiore di quello che passa: e non è scontato

Nella famiglia in cui sono nato, la cena della vigilia di Natale era un’occasione di grande comunione familiare.

 

Ci si riuniva attorno al desco e si consumavano i piatti tipici della circostanza: cardi e baccalà fritti, broccoli in pastella, olive nere e via di seguito, fino ad arrivare alle fatidiche nove portate, affinché quella potesse essere, secondo la tradizione, “la sera delle nove cose”.

 

La solennità di quel convivio proseguiva l’indomani, durante il pranzo, condiviso con le stesse persone, cui si aggiungevano, solitamente, altri parenti invitati, la sera prima, da familiari del ramo opposto.

 

E, dopo una settimana, ci si ritrovava di nuovo a tavola, per il pranzo di Capodanno, a casa propria o di chi ricambiava l’invito di Natale.

Quelle che vivevo io erano le consuetudini della stragrande maggioranza delle famiglie italiane degli anni Settanta e Ottanta. 
 

C’era, però, un momento in cui la famiglia in cui sono nato si distingueva: la sera di San Silvestro.

 

Mentre tutti gli altri trascorrevano le ultime ore dell’anno, mangiando, giocando e, allo scoccare della mezzanotte, brindando, noi si andava a letto, dopo avere ascoltato gli auguri del Presidente della Repubblica e aver consumato una cena frugale, come fosse stato un giorno qualunque.

 

E quando chiedevo ai miei genitori una spiegazione di questo comportamento irrituale, mia madre mi rispondeva seccamente che a lei il 31 dicembre metteva tristezza e che, pertanto, non vedeva alcun motivo per festeggiare la fine di un anno che, tutto sommato, non era poi andato così male per noi, laddove nulla si sapeva di quello che stava per cominciare. 
 

Raggiunta l’adolescenza, mi emancipai da queste convinzioni, che giudicavo stridenti con la mia giovane età, che mi induceva a guardare al futuro, carico di speranza e aspettative.

 

Così non mancavo di partecipare ai veglioni, organizzati assieme ai miei coetanei, brindando, ballando e giocando fino alle prime luci del nuovo giorno e del nuovo anno.

Sentivo quasi il bisogno di divertirmi, per rivalermi di tutte le occasioni perse in famiglia negli anni passati. 


Ormai che ho l’età che avevano i miei genitori, quando disdegnavano i veglioni, mi sento fortemente tentato, ogni anno di più, di passare la sera di San Silvestro all’insegna di quell’austerità, che allora avversavo e nella quale adesso mi ritroverei con serenità.

 

Non per mancanza di prospettive, intendiamoci, che invece continuo a coltivare nel mio lavoro e soprattutto a progettare nella mia famiglia e che auspico si concretizzino tutte, in forza dell’amore e del piacere di vivere insieme, tutto il tempo di cui il buon Dio vorrà farci dono.

 

Ma per la difficoltà, in parte indotta, in parte ragionata, ad esultare per gli anni che passano. 


Alla fine del 2021, infatti, eravamo fiduciosi di essere tornati alla normalità e pensavamo di potere archiviare in fretta i 3,5 milioni di morti da coronavirus, tra fuochi d’artificio, mortaretti e cin cin.

 

Tutta la solidarietà provata nei mesi precedenti verso i ricoverati in terapia intensiva, le lacrime versate per chi non era sopravvissuto agli asfissianti tormenti del virus, le preghiere innalzate sotto l’autorevole guida del Papa, sotterrati di colpo a suon di samba, tra le note di Brazil e Brigitte Bardot.

 

Cinquantacinque giorni dopo, il mondo si risvegliava al clamore delle sirene ucraine e, da allora, vive l’incubo di una guerra, combattuta nel cuore dell’Europa, che ha già mietuto oltre centomila vittime.

 

Nel frattempo si è aggiunta la repressione iraniana contro le donne, che rivendicano diritti negati da più di quarant’anni.

 

Per non parlare di tutta la violenza consumata nei cinque continenti, che magari sfugge ai riflettori, ma non per questo è meno crudele di quella vista giornalmente in televisione o sui social.

 

E se, fra qualche ora, noi conteremo i secondi per stappare la bottiglia in perfetta sincronia con il cronometro della RAI o di qualche altra televisione, a qualche migliaio di chilometro da casa nostra, mancherà la corrente elettrica per accendere una stufa o riscaldare un po’ d’acqua.  

   
Aveva ragione lo storico francese Michel Decertau, quando affermava che il passato è come il cadavere: va onorato e seppellito, prima che si decomponga.

 

Io credo che oggi si tenda a saltare il primo adempimento e si passi direttamente alla sepoltura, necessaria sì, ma non scissa dall’onore, che si deve a chi ci ha lasciato.

 

Sbarazzarsi in fretta di chi non c’è più non è solo disumano, ma prelude ad un futuro spesso peggiore del presente.

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